Un tifoso unico… Stefano Martinangeli

UN AMORE INFINITO: DUE COLORI, UNA SOLA PAROLA: ROMA!!!

UN TIFOSO UNICO, STEFANO MARTINANGELI.

Ricorda Manuel:

sabato 19 aprile 2008…

papà Stefano, io ed i miei due fratelli Luca e Daniele, ci rechiamo allo stadio Olimpico; la partita da seguire è Roma-Livorno, prevista nel pomeriggio per le ore 18:00. Come di consueto entriamo con le nostre bandiere, le sciarpette al collo e lui, nostro padre, ha sulla testa l’immancabile cappellino di cui non fa mai a meno. I nostri amici sono lì; ci si saluta, ci si scambia qualche battuta scherzosa, si fanno pronostici e poi inizia l’attesa. Il tempo allo stadio corre velocemente; la tifoseria romanista si fa sentire, ci si unisce ai cori, tutto si fonde in un unico colore: giallo-rosso ed è uno spettacolo unico al mondo. Mancano ormai pochi minuti al fischio d’inizio. Mio padre prende il suo immenso bandierone e inizia la consueta corsetta nel parterre della tribuna Tevere, innalzando al cielo i colori che ama sin da bambino, quando per mano ad uno zio, entrò la prima volta allo stadio.

Ora devo fare un passo indietro: questo “rituale” ormai era diventato per lui una cosa molto seria; nonostante noi figli e mia madre avessimo cercato di dissuaderlo pensando che potesse rendersi ridicolo davanti a tanta gente. Ma a papà quest’idea piaceva molto e aveva già deciso di metterla in pratica ogni domenica “in casa”, perché per la squadra del suo cuore faceva qualsiasi cosa.

Tornando a quel sabato: all’improvviso succede qualcosa, qualcosa di molto grave; ed io a soli sedici anni, non immagino che da lì a poche ore la mia vita e quella della mia famiglia cambierà completamente, stravolta da un evento che ci cambierà per sempre. Io, i miei fratelli, nostro zio Davide scendiamo velocemente dagli spalti verso il parterre; papà è lì in terra, inerme, il bandierone ancora stretto tra le mani che gli copre in parte il corpo. Pensiamo ad un lieve malore, è tutto così assurdo, incredibile.

Si avvicina gente, c’è confusione; lui così grande, così forte non si muove più, non parla più, non da segni di vita…

 

Ricorda mio fratello Daniele: “Gli steward chiedevano i documenti per aprire i cancelli”, ed ancora “il soccorso è stato tempestivo, ma ancora non riesco a spiegarmi perché gli steward pretendessero i documenti dalla gente che batteva contro le vetrate, chiedendo di aprire le cancellate. Solo in un secondo momento hanno compreso che si trattava di una cosa seria. Non voglio accusare nessuno, ma credo che all’Olimpico ci sia una cattiva organizzazione per le situazioni d’emergenza. Mi sarei aspettato che l’ambulanza entrasse direttamente in campo, passando dal sottopassaggio della tribuna Monte Mario. A mio padre pertanto gli sono stati prestati i primi soccorsi dopo circa dodici minuti da una dottoressa dello staff dell’Olimpico; è stato poi adagiato sulla barella mobile e portato sull’ambulanza che si trovava sotto la tribuna Tevere, dove però non c’erano defibrillatori. Lì gli hanno somministrato l’ossigeno e continuato il massaggio cardiaco. A quel punto lo hanno dovuto trasportate sotto la Monte Mario, da dove è partita l’ambulanza con il defibrillatore, che lo ha portato al Policlinico Gemelli. Papà era stato colpito da un infarto ed era in coma”.

 

Scrive Livia mia madre.

Sabato 19 aprile 2008.

Sono passati quattro anni e mezzo da quel giorno. Io ricordo. Primo pomeriggio, ore 15.

Rivedo la tua figura alta, imponente sulla porta di casa; mi saluti frettolosamente; (sei un po’ buffo con quel cappelletto giallo-rosso sulla testa), l’immancabile sciarpetta intorno al collo ed i nostri ragazzi che ti seguono, tutti e tre, con le loro bandiere in mano, felici di recarsi come al solito allo stadio con il padre. Io resto a casa, sola, con un pò di rimpianto per aver deciso quel giorno di non venire, nonostante le tue ripetute richieste; ma la mattina ho lavorato, ho tante cose da fare e poi devo preparare tutto quel pesce che tu hai comprato il giorno prima. E così, decisa a farvi trovare pronta una buona cenetta per il dopo partita, mi metto subito all’opera in cucina, sperando di vedervi tornare la sera felici, perché la Roma ci ha regalato una bella vittoria. Accendo la radio. Squilla il telefonino. Con allegria ed eccitazione, urlando, perché il sottofondo dei cori allo stadio quasi copre la tua voce; mi chiedi se sono pronta e mi prometti (come fai solitamente) che non appena la Roma segna, (per te è scontato), invii il tuo (brevissimo) sms. Mi saluti affettuosamente; già stanno comunicando le formazioni delle squadre. Ecco, penso io con emozione, stà iniziando. Passa un pò di tempo, non ricordo quanto; finalmente sussulto di gioia, eccolo… il goal è arrivato. Corro in sala, il telefonino è lì al solito posto. Lo guardo fremente; penso: adesso arriva il messaggino con il nome del giocatore che ha segnato, come promesso. No. Continuo a guardarlo ed aspetto. Nulla. Muto. Strano!!! Riprendo a cucinare; dopo poco corro di nuovo in sala, forse non ho sentito. Controllo, guardo, non leggo nulla. Penso di nuovo che è strano, molto strano. Conoscendoti bene, so che è impossibile che ti sia dimenticato. La Roma ha segnato. La radio continua a trasmettere la partita. È inutile che chiami io; telefonarci durante la partita non l’abbiamo mai fatto, non è nostra abitudine. Purtroppo arriva il pareggio. Immagino la tua delusione, quella dei nostri ragazzi, ma soprattutto mi preoccupa la tua sofferenza; si, è esagerato, è comunque solo una partita di calcio, ma so cosa significa per te. Fino all’ultimo spero che la Roma vinca, ma la partita finisce così. Anch’io sono delusa e dispiaciuta. Prima di conoscerlo non seguivo il calcio; anzi da ragazzina, vedendo la domenica i miei zii davanti alla tv, pensavo: “io non sposerò mai uno di questi indemoniati per il pallone”. Poi mi hai portato allo stadio. La prima volta: un’emozione incredibile; non avrei mai pensato di appassionarmi così, ma è stato soprattutto vedendoti lì, sentendoti gridare incitando con tutta la forza che avevi quei ragazzi che “sgambettavano” in campo, ho capito quanto fosse importante per te questa squadra.

Ma torniamo a quella sera; io stò aspettando il vostro rientro; so che non sentirò “strombazzare” il clacson fuori dal cancello; pazienza, non importa, passerà; importante è stare tutti insieme, come sempre. Ma quella sera tu non torni. Arrivano solo i ragazzi, stravolti. Mi dicono di seguirli. Prendo una borsa come un automa, chiedo più volte di te, ma loro dopo aver risposto che sei stato ricoverato all’ospedale per un malore, non parlano più. In macchina non mi rendo conto di nulla. I figli sono tesi, mi toccano, ora un braccio, ora una spalla. Luca che guida, corre, corre, ed io capisco; deve essere successo qualcosa di molto grave; ma non parlo, non riesco a parlare. Non posso immaginare che da lì a poche ore, la mia vita, la nostra vita, non sarà più la stessa. È sera, anzi ormai notte: tu stai lottando tra la vita e la morte. Siamo tutto lì, intorno a te, in quella stanza d’ospedale, c’è tanto silenzio intorno a noi. Sento come in un sogno, delle voci: i medici, un prete… tuo figlio Daniele, avvicina il suo giovane viso al tuo, ti parla, sottovoce, ti chiede di essere forte come sempre… “devi farcela papà, noi siamo tutti qui con te, abbiamo ancora tante partite da vedere insieme…”. L’attesa continua, la speranza non ci abbandona; ma passano solo pochi minuti e tu ci lasci. È tutto così irreale, non riesco nemmeno a piangere. È solo un sogno, penso. Mi raccontano che sei caduto lì, allo stadio, pochi minuti prima che iniziasse la partita con il tuo bandierone in mano. Non ci posso credere…

Te ne sei andato, come vorremmo fare tutti noi… Qui a casa nostra!!! Ciao Stefano; si leggeva qualche settimana dopo la tua scomparsa su uno striscione che i nostri amici romanisti avevano preparato per te ed esibito allo stadio per ricordarti; ed io continuo a pensare che è incredibile, hai scelto tu dove morire: in quel luogo tanto amato dove la tua presenza non era mai mancata; lì hai voluto dire addio alla tua Roma, ed è stato giusto così, per quanto l’hai amata e portata nel cuore. Tu di partite non ne hai mai persa una ed anche l’ultima, l’hai vista, ne sono sicura, da lassù, da dove continui a proteggerci ed a correre con quel bandierone giallorosso senza fermarti mai.

 

Manuel racconta: mio padre, Stefano Martinangeli era una persona discreta. C’era sempre, ma non amava apparire. Era un romanista vecchia maniera. Amava la sua famiglia e la sua Roma, alla quale dedicava il suo tempo libero, collaborando con l’U.T.R. (Unione Tifosi Romanisti) in segreteria e curando il servizio stadio. Coordinatore dei Roma Club dell’Etruria: Nepi, Monterosi, Big Star Soccer, (questo, club a cui era particolarmente legato perché “ereditato” dalla sua carissima amica “Gabriellona” Santantoni e da suo fratello Roberto, anche loro super tifosi della Roma, prematuramente scomparsi), Colle Farnese, Blera, Capranica, Mazzano Romano, Colonia (Germania), Tulum (Mexico). Una sua virtù era l’umiltà. Si era dedicato anima e corpo all’allestimento della mostra degli “80 anni” della Roma e pure non c’è una sua foto che lo ritrae con i giocatori o con i vip. Spesso riuniva bambini e ragazzi, figli di amici o conoscenti per portarli allo stadio; trasmettendo loro una sana passione attraverso questo sport che lui amava, seguiva ed aveva praticato per tanti anni e noi, lo aiutavamo nell’organizzazione per far sì che il suo progetto si realizzasse. Mio padre aveva solo cinquantesei anni quando se n’è andato, lasciando un vuoto incolmabile. Ed a questo proposito desidero riportare alcuni dei tanti messaggi ed articoli che sono stati scritti su di lui:

NUN TE FERMA’

Facevi più strada tu che i giocatori,

pe’ sventolà ‘sti due colori,

su e giù pe’ la tribuna,

de partita nun ne hai persa una.

La tifoseria era fiera,

de vede alta la bandiera.

Te porteremo dentro i nostri cuori,

sicuri che nel celo ancora cori.

Pe’ te

“ I mesi di Maggio e Aprile sono mesi che solitamente profumano l’aria che ci circonda e questo grazie alle rose che puntualmente sbocciano rigogliose, per questo 2008 però non sarà così perché l’aria che respiriamo profuma solo di grande tristezza. Da pochi giorni abbiamo perso un grande amico Stefano Martinangeli un uomo serio e buono che attraverso la sua educazione e tranquillità lasciava trasparire tutte quelle belle parole che per la sua riservatezza spesso venivano a mancare. Stefano è morto nel suo giardino preferito in quell’immeso spazio aperto chiamato Olimpico dove ogni domenica si recava accompagnato dai suoi tre figli e da sua moglie Livia per assistere alle partite della sua amata Roma. Stefano amava correre lungo la Tevere sventolando orgogliosamente la sua enorme bandiera, era un rito che lo rendeva felice e libero, libero di correre mostrando il suo grande affetto per la sua squadra giallo-rossa. Purtroppo sabato 19 Aprile prima della partita Stefano a fine corsa si è accasciato a terra stringendo ancora la bandiera tra le mani, il cuore di Stefano ha smesso improvvisamente di battere, un cuore ancora troppo giovane e ancora troppo pieno di gioia per fermarsi così. Nel silenzio attonito dei figli e dei presenti. Stefano ha guadagnato l’uscita nel totale silenzio rotto solo dall’eco della sirena dell’ambulanza mentre sul campo i giocatori prendevano posizione ignari di quello che stava accadendo a pochi passi da loro in quella immensa tribuna che per anni è stata la sua seconda famiglia. Stefano aveva anche un’altra grande passione, gli articoli, i giornali e tutto ciò che era notizia collaborava con il mensile dell’Etruria e ogni mese passava presso la sede dell’A.S.D.Monterosi per ritirare l’articolo sulla società che io stessa provvedevo a scrivere ogni mese. La sua scomparsa così prematura lascerà un vuoto difficile da colmare per i suoi familiari e per noi tutti che lo conoscevamo. Ciao Stefano e grazie di tutto dal profondo del cuore”.

 

Una bandiera giallorossa da oggi sventola in paradiso! È la tua Stefano… che orgogliosamente hai sempre sventolato all’ingresso delle squadre in campo percorrendo di corsa tutta la Tribuna Tevere!

Pochi, tra quelli che domenicalmente assistono dallo stadio alla partite della nostra ROMA non conoscevano questo “RITO”: la corsa dell’alfiere  lungo il parterre della Tribuna Tevere con in mano un grosso bandierone giallorosso che voleva incoraggiare la squadra e invitare la tifoseria a sostenerla… Molti non ti conoscevano personalmente perché eri discreto, timido e poi perché la tua corsa finiva al fischia d’inizio e l’attenzione di tutti si rivolgeva al terreno di gioco mentre io…. Quante volte rientrando ansimante verso il tuo posto ti ringrazziavo per questa tua missione…

DA OGGI , STEFANO SEI IN PARADISO, MA MI RACCOMANDO…. OGNI VOLTA CHE ENTRERA’ IN CAMPO LA ROMA NON DIMENTICARE DI RIPRENDERE IL BANDIERONE E DI RIPARTIRE CON SLANCIO…. NOI ALZEREMO GLI OCCHI E SCORGEREMO NELL’ALTO UN COLORE BELLISSIMO, QUELLO CHE IL TUO CUORE HA ACCOMPAGNATO CON AMORE E SLANCIO FINO ALL’ESTREMO SACRIFICIO IL “ GIALLO E ROSSO”. Ciao Stefano.

 

Ho solo otto anni e la passione per la magica proprio come te, sono il figlio della tua segretaria di Bracciano e voglio ringraziarti per la meravigliosa giornata allo stadio Roma-Milan. Che giorno indimenticabile, ti prego da lassù proteggi me, la Roma e tutti quelli che ti hanno amato e che ti porteranno sempre nel cuore. Ti voglio bene.

Addio Stefano, come t’aspettavo tutte le vorte prima della partita. Io che stavo un po’ de file più su e che nun t’ho mai visto manco da vicino, te guardavo core co la bandiera in mano e me se apriva er core. Avrei voluto core insieme a te, ma nun c’avevo er coraggio che c’avevi tu. Avrei voluto esse ancora un ragazzino che sbandierava i colori de Roma nostra, come eri tu. Quanno t’ho visto cascà ho capito ch’era successa na cosa strana, tu che nun te sei mai fermato manco pe ripià fiato. Mo te ne sei annato, co la bandiera in mano e quanno te cercherò vedrò solo una lunga fila de portrone vote. In artri paesi ce so certi stadi dove te permettono di riposà per sempre sur campo dove correranno sempre li colori tua. Qui nun se pò, ma ce sarà però sempre er ricordo, quello si, in tutti quelli che t’hanno visto core. Come me mancherai amico mio, ora cori più che poi, sempre co la bandiera de li colori nostri in mano e se ce posto n’do continuano a tifà li romanisti allora un giorno te rivedrò e stavorta te corerò dietro pure io.

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