Un capitano ed i suoi uomini

La lealtà sportiva? È una dote che si ha dalla nascita, fa parte del corredo cromosomico di un atleta. Per un calciatore saper gestire un pallone, avere una visione complessiva di gioco ed intuire, di un’azione, gli sviluppi possibili e più convenienti per la propria squadra, riuscire a creare e mantenere armonia nel gruppo sono tutte qualità importanti ma da sole non bastano per fare un campione. Chi lo è veramente lo dimostra nei momenti di maggiore tensione, quando la posta in palio è altissima. Riconosce il campo di gioco quale unico giudice ed accetta il suo verdetto; la sua dignità di autentico uomo di sport lo porta a rifiutare ogni compromesso. Nessuna vittoria ottenuta in maniera poco pulita potrà mai soddisfarlo. Questo è il suo stile, il modus operandi di chi agisce responsabilmente. Il comportamento di un capitano, poi, costituisce un esempio per i suoi compagni e per tutti i giovani che si avvicinano al mondo del calcio.
Una dimostrazione di lealtà sportiva la fornì il grande Fulvio “Fuffo” Bernardini, capitano dei giallorossi dal 1934 al 1939 e la squadra che si unì al suo leader. Parliamo della stagione 1935 – ’36, la Roma del tecnico Luigi Barbesino partiva tra le favorite per la conquista del titolo. La squadra era stata costruita dal presidente Sacerdoti che, nel mese di giugno, aveva lasciato (per meglio dire: era stato costretto a lasciare) la dirigenza del club che venne assunta da Antonio Scialoja. Qualche innesto ed il meccanismo sembrava perfetto. A due sole giornate dall’inizio del torneo, però, ecco l’assurda fuga dei tre oriundi: Andrea Stagnaro, Enrico Guaita ed Alessandro Scopelli per motivi ancora non del tutto chiari. La compagine capitolina sembrava ridimensionare le sue pretese riguardo al risultato finale di quel campionato. Malgrado tutto, la Roma disputò un bel torneo contendendo fino all’ultimo istante il titolo al Bologna del presidente Renato Dall’Ara. Alla quart’ultima giornata i giallorossi erano impegnati nella trasferta di Brescia. Le rondinelle erano ormai prossime alla retrocessione, vista la posizione (ultima) in classifica. In quel contesto di rassegnazione e smobilitazione ci fu chi, tra i calciatori del Brescia, pensò di proporre una gara “morbida” ai giallorossi in cambio di 3000 lire. Questo accomodamento fu proposto ad un dirigente della Roma. Resa nota la “proposta indecente”a prendere la parola per primo fu proprio il capitano, il “Professore” Bernardini che, in maniera ferma e categorica, tuonò: “Se venisse concluso un accordo del genere io non scenderei in campo!”. Gli fece eco tutta la squadra, tra cui ricordiamo i campioni del mondo Eraldo Monzeglio e Luigi Allemandi, il portierone Guido Masetti ed altri atleti che insieme contribuirono a creare il mito della Roma di Campo Testaccio.
La gara fu vera e combattuta. I padroni di casa passarono in vantaggio con una rete di Boltri al quarto d’ora. Quando mancavano dieci minuti al novantesimo Bernardini trovava libero Tomasi che da pochi metri insaccò il gol del pareggio. 1-1 finale, il Bologna nel frattempo aveva pareggiato con la Lazio. Negli ultimi tre turni la Roma vinse sempre rosicchiando un punto ai rossoblu. La classifica finale dice: Bologna punti 40, Roma 39, Torino 38… per una sola lunghezza non si disputò lo spareggio.
Accettando quella proposta ci sarebbe stato modo di giocarsi lo scudetto in una ulteriore sfida ma la serietà di un campione, la sua credibilità nonché la sua dignità di uomo non potevano e non potranno mai essere essere barattate con nessun trofeo.

By Max

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