a cura di Massimiliano Spalluto
Scorrendo il mese di ottobre ci si sofferma su un giorno in particolare: il 14. Per chi ama la storia si deve compiere un salto nel tempo tornando allo stesso giorno del 1956, esattamente sessant’anni fa. Era una domenica ed all’Olimpico (allora denominato “Stadio dei Centomila”) andava in scena il derby capitolino, per la precisione il 49° nella storia del campionato italiano. Ad ospitare la sfida era la Lazio di Muccinelli, dell’ex allenatore giallorosso Jesse Carver e del futuro romanista Arne Selmosson. La Roma del tecnico ungherese Gyorgy Sarosi schierava, tra gli altri: Lojodice, Pestrin, Nordahl, Giuliano e, fondamentale, l’italo – brasiliano Dino Da Costa. È il 35° del primo tempo quando, su un’azione tambureggiante della Roma, Da Costa si trova a tu per tu con Lovati, portiere laziale, e con un tocco preciso ne anticipa l’intervento infilando il vantaggio romanista. Cos’ha di speciale questa rete? Per quanto riguarda il risultato, sarà soltanto la prima di tre reti (il match si chiuderà sul 3-0 per la Roma); nel secondo tempo si aggiungeranno le marcature di Paolo Pestrin e la rete finale di Da Costa, autore quindi di una doppietta. Per comprendere pienamente la valenza storica di questo gol, però, bisognerà valutarlo col “senno di poi”; quel punto messo a segno da Da Costa marca il primo di otto derby ufficiali consecutivi (sei in campionato a cui ne vanno aggiunti due nel girone di Coppa Italia 1958) in cui Da Costa apparirà costantemente nel tabellino dei marcatori. Il suo è il record assoluto di continuità nella storia della stracittadina capitolina. In quelle otto sfide centrò la porta laziale ben undici volte. Un incubo, sportivamente parlando, come ammetterà in seguito il portiere laziale Roberto “Bob” Lovati.
Per trovare la prima e, fino al 1956, unica sequela di marcature messe a segno da uno stesso autore, bisogna risalire agli albori della stracittadina. Tutto ebbe inizio con l’istituzione del torneo a girone unico, nel 1929 – ’30. È nella domenica dell’Immacolata, l’8 dicembre 1929, che la storia del derby della Capitale ha ufficialmente il suo inizio. Erano trascorsi due anni dalla fusione che aveva condotto alla nascita dell’A. S. Roma ma, fino a quel giorno, le due società non si erano mai scontrate. L’attesa era stata febbrile, i proclami e le scommesse tra amici, parenti o colleghi in città erano all’ordine del giorno, la fantasia riguardo alle penitenze da pagare per gli sconfitti non aveva limiti e poi, finalmente, al campo della Rondinella giungeva il momento della verità. Padrona di casa, in quel debutto assoluto, era la Lazio ma sugli spalti il giallorosso dominava; i supporters romanisti sovrastarono numericamente i cugini. Partita tesissima, che venne risolta a meno di un quarto d’ora dal triplice fischio finale. Fu il centravanti fiumano Rodolfo Volk a siglare la rete della vittoria giallorossa. Volk era soprannominato dai tifosi “Sigghefrido” per la sua statura e corporatura nordica ma gli fu assegnato anche un altro nomignolo, quello di “Sciabbolone” per il suo modo di concludere a rete, altamente letale. Riceveva spesso palla giocando spalle alla porta e poi, con uno scatto fulmineo, ruotava su se stesso colpendo la sfera in maniera imparabile, bruciando ogni tentativo di opporsi da parte dei portieri. La sua “sciabolata”, che non dava scampo perfino ai più agili ‘numeri uno’ avversari, gli fruttò 103 reti nei soli cinque anni di permanenza in riva al Tevere. Proprio con quel caratteristico tipo di soluzione pose la sua firma sul primo derby disputato, consegnando la vittoria alla sua squadra. Era il 33° della ripresa quando Walter Corsanini effettuò un passaggio nell’area biancoceleste; si accese una mischia da cui ne uscì fuori palla al piede Volk, rapida giravolta e staffilata imparabile per l’estremo difensore laziale. Nelle seguenti sei stracittadine il centravanti romanista sarà sempre presente tra i marcatori con una rete per gara. Va sottolineato che, nei derby di campionato, quella di Volk resta la sequenza con il maggior numero di gare consecutive (sette) in cui un cannoniere andò a segno. Analogamente a quanto accadrà a Lovati vent’anni dopo, “vittima” designata delle imprese balistiche del goleador romanista in quei sette scontri cittadini fu un unico portiere: Ezio Sclavi. Un uomo, Sclavi, che ha saputo far parlare di sé anche dopo aver concluso la carriera agonistica. Partecipò alla guerra d’Etiopia e, tornato in Italia dopo molti anni di assenza, tornò a dedicarsi all’arte risultando un apprezzato pittore. Oltre al ruolo di antagonisti dei due centravanti romanisti che legava Sclavi al collega Lovati, un altro elemento tende ad accomunare i due periodi storici rivisitati: la figura di Renato Sacerdoti, unico presidente nella storia dell’A. S. Roma ad aver vissuto due cicli da massimo dirigente (1928 – ’35 ed il suo ritorno alla guida della società nel 1952 fino al definitivo abbandono sei anni dopo). Sacerdoti, però, lascerà il mondo del calcio attivo nel marzo 1958, mentre l’ultimo gol in una sfida di campionato contro la Lazio Da Costa lo metterà a segno il 12 aprile 1959. Nei minuti finali di un incontro dominato dalla Roma, il centravanti italo – brasiliano si libera in dribbling di Lovati uscito dai pali per poi, da posizione angolata, lasciar partire un diagonale che coglie il palo interno e rotola dentro il sacco. La Roma vince ancora 3-0, la serie termina nello stesso modo in cui era iniziata poco meno di tre anni prima.