In casa Sandri l’11 novembre è una data nera. Sì, perché in questo giorno di nove anni fa se ne andava Gabriele, il giovane tifoso della Lazio ucciso maldestramente da un colpo di pistola presso l’autogrill di Badia al Pino, in sosta prima di recarsi a Milano per assistere alla partita tra i suoi idoli e l’Inter. Ecco cosa ha detto Giorgio Sandri ai microfoni di Rete Sport:
“Al suo posto poteva esservi chiunque, la facilità di immedesimarsi in Gabriele riesce ad unire tanta gente e tante tifoserie. Io ho una mia idea. Diciamo che l’omicidio di Gabriele non ha niente a che vedere con calcio e tifoserie. E’ stato ucciso lontano sia dallo stadio Olimpico che da qualunque stadio di calcio, chi ha fatto quel gesto folle non sapeva neanche chi fosse Gabriele. Quindi lascerei il calcio da parte. Per quanto riguarda cosa fatto in questi anni io ho le mie idee. Mi pare che il calcio voglia allontanare dagli stadi i tifosi come Gabriele e non solo. Vedo gli stadi sempre più vuoti e mi dispiace. Io ho vissuto la mia vita allo stadio, in curva, dove si andava insieme romanisti e laziali. Era un belvedere tutte le domeniche, quando c’era il derby ma anche le tifoserie ospiti che non venivano confinate come fossero chissà cosa. Erano spettacoli folkloristici e oggi non è più così. Se non ci fosse stato quell’errore grossolano che la Polizia di Stato ha fatto nei primi minuti dell’omicidio di mio figlio, accostandolo al calcio, sarebbe passato sottotraccia. Hanno fatto un autogol come si dice in gergo calcistico. Il calcio è la cassa di risonanza più grande del nostro paese”.