Quasi sempre scrivo il mio articolo di riflessioni sul calcio in generale e sulla Roma in particolare il lunedì mattina, ma ieri non avevo la stessa voglia e l’entusiasmo delle altre volte.
Eppure gli argomenti non mancavano di certo, a cominciare dalla ripresa del campionato, sempre più condizionato dalla positività al Covid di molti giocatori della serie A, passando dal possibile utilizzo dei playoff se la situazione sanitaria dovesse raggiungere limiti di guardia e provocare l’interruzione del torneo, fino alla decisione che prenderà mercoledì 14 il giudice sportivo in merito alla partita mai giocata tra Juventus e Napoli, che inevitabilmente creerà un precedente e che avrà uno strascico indipendentemente dalla sentenza che verrà emessa.
Malgrado questo mi sentivo abbastanza inquieto senza alcun motivo e non riuscivo ad avere la mente libera per potermi concentrare. Ho dato la colpa alla pandemia, che sta influenzando e condizionando la nostra vita, la nostra quotidianità, anche nelle cose più semplici e normali, ma forse il motivo era inconsciamente un altro e non è la prima volta che mi accade quando ad essere coinvolte sono persone a me care.
La notizia arrivata nel pomeriggio della scomparsa di Enzo Totti mi ha gelato il sangue nelle vene. Lo sceriffo, come era soprannominato e conosciuto da tutti, si era arreso in mattinata al Covid 19, che aveva purtroppo trovato terreno fertile in un corpo già segnato da patologie pregresse.
Non si poteva non voler bene a una persona come Enzo, bastava conoscerlo la prima volta per apprezzarne la simpatia, la schiettezza e la grande umanità
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