a cura di Massimiliano Spalluto
“Cor core acceso da ‘na passione, undici atleti Roma chiamò, e sott’ar sole der Cuppolone ‘na bella maja a du’ colori je trovò. Li du’ colori de Roma nostra…….. Campo Testaccio c’hai tanta gloria, nessuna squadra ce passerà. Ogni partita è ‘na vittoria, ogni romano è n’bon tifoso e sà strillà………” sono alcuni passi della “Canzone de Testaccio” con cui il tifoso romanista cantava le gesta dei suoi eroi negli anni trenta. Tutto ebbe inizio nella seconda metà del 1929, con il primo torneo a girone unico. La Roma del presidente Renato Sacerdoti e del mister Guido Baccani è pronta ad affrontare la sua terza stagione, quella che la vedrà prendere possesso di Campo Testaccio, dando vita ad un’epopea che riempirà d’orgoglio il tifoso romanista. La futura casa giallorossa, il tanto atteso stadio di via Zabaglia che ospiterà la Roma per circa undici anni, però, non è ancora pronto. Il 13 ottobre i giallorossi affrontano il loro primo match interno (seconda giornata) contro la Cremonese, teatro della contesa lo Stadio della Rondinella. La sfida si rivelerà non una semplice gara di routine ma entrerà nella storia per via del risultato: 9-0 ai malcapitati lombardi, un autentico diluvio record di segnature che la Roma non ripeterà mai più. Dopo questa larga vittoria gli auspici per l’annata sono i migliori, l’attesa e la passione salgono febbrilmente ed ecco giungere la quinta giornata, secondo impegno interno per la compagine capitolina. È il 3 novembre 1929 e finalmente Campo Testaccio apre le porte ai suoi padroni, i lupi giallorossi. Prima della gara le foto di rito con le autorità civili ed ecclesiastiche, la cerimonia d’inaugurazione e la benedizione del primo vescovo castrense d’Italia, monsignor Angelo Bartolomasi.
Al fischio di partenza del signor Rovida di Milano la Roma si lancia all’attacco, di fronte il Brescia dei futuri romanisti Evaristo Frisoni ed Andrea Gadaldi. La partita si risolverà nella ripresa con le reti di “Sigghefrido” Rodolfo Volk e del “Professore” Fulvio Bernardini. Il gol della bandiera a due minuti dal termine, realizzato per le “Rondinelle” da Arnaldo Prosperi, serve solo a fissare il punteggio sul definitivo 2-1 per i padroni di casa. “Bona la prima” si potrebbe dire, ed effettivamente questa sarà la prima di 103 vittorie che la Roma conquisterà sul suo campo negli undici anni che seguirono, per il resto cederà ai suoi ospiti 26 volte e concluderà 32 pareggi. La Roma sfiorerà il titolo nel 1931 e nel 1936, centrando due secondi posti che, a giudizio della stampa neutrale dell’epoca, le andarono molto stretti. Nel ’31 la rincorsa alla Juventus fece registrare lamentele e contestazioni in seguito mai sopite da parte di chi visse quell’avvincente torneo. La squadra del tecnico Herbert Burgess strapazzò per 5-0 i rivali bianconeri, il 15 marzo 1931, per poi arrendersi a decisioni e sanzioni che la penalizzarono pesantemente nello sprint finale. Nel 1936, invece, terminò ad un punto dal Bologna campione dopo aver disputato un torneo spettacolare. Finirono per incidere irrimediabilmente sull’economia della stagione le assurde defezioni dei tre oriundi (Guaita, Scopelli e Stagnaro) che fuggirono inspiegabilmente dall’Italia due notti prima dell’esordio in campionato, per motivi che non furono mai del tutto appurati (paura di partire per la guerra d’Etiopia? Altro? Nessuno lo saprà mai!). In quegli anni trenta gli appassionati romanisti videro un nutrito stuolo di campioni indossare la casacca giallorossa. Solo a titolo d’esempio si possono citare: Attilio Ferraris (IV), Raffaele Costantino, Eraldo Monzeglio, Pietro Serantoni, Guido Masetti, Amedeo Amadei, Miguel Angel Pantò, i già nominati Bernardini, Volk ed i tre oriundi fuggitivi, Cesare Augusto Fasanelli, Aristide Coscia, Ernesto Tomasi, Renato Bodini e tanti altri a cui, immancabilmente, fu assegnato un soprannome dal popolo romanista.
Dal 7 novembre 1937 fino al settembre 1938 la Roma dovette allontanarsi dalla sua tana, per via dei lavori di ristrutturazione conseguenti ad un incendio che ne danneggiò gran parte dell’originale struttura in legno. Arriva il giugno 1940, con il tristemente famoso discorso de “… un’ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra Patria. L’ora delle decisioni irrevocabili…” l’Italia entra in guerra. In quel fatidico mese, per la Roma ed i suoi supporters, arriva il momento dell’addio alla loro prima tana: si chiude l’era di Campo Testaccio. Il 2 giugno si disputa l’ultima vittoriosa gara di campionato contro il Novara (3-1), mentre il 30, con l’amichevole contro il Livorno, si calcherà per l’ultima volta quello storico terreno. “Roma Testaccina” resterà sinonimo di “spirito combattivo ed indomito” di una squadra disposta a dare battaglia fino all’ultimo istante. Lo stadio fu abbattuto il 21 ottobre 1940, ma le gesta degli eroi che lottarono su quel rettangolo saranno tramandate nei decenni successivi.