a cura di Massimiliano Spalluto
Liedholm fa debuttare Bruno Conti, nasce nel 1974 l’intesa vincente che anni dopo darà tante gioie alla tifoseria romanista.
La prima metà degli anni Settanta segna un momento di splendore per il settore giovanile giallorosso.
Due tricolori, altrettante coppe Italia ed ottime prospettive per il futuro della prima squadra. Il 1973 – ’74 è indicativo del dominio incontrastato della Primavera romanista; la squadra diretta da Antonio Trebiciani si aggiudica con pieno merito entrambe le competizioni.
A tanto successo, però, non si adegua la compagine maggiore, che invece vive anni pieni di delusioni. Undicesima al termine della stagione precedente, negli ultimi mesi del 1973 la Roma si trova in cattive acque. Significativo il fatto che, dopo sole sei giornate, la società interviene esonerando il tecnico Manlio Scopigno, il “filosofo” che solo 3 anni prima si era aggiudicato uno storico scudetto alla guida del Cagliari di Gigi Riva. Sulla panchina giallorossa debutta Nils Liedholm, avviando così il suo primo ciclo nella Capitale.
L’annata termina con un ottavo posto, ma muovono i loro primi passi alcuni gioiellini del vivaio. Dopo il primo gol di un appena diciottenne Agostino Di Bartolomei contro il Bologna nel match di apertura del torneo, è il turno di Bruno Conti. Gli manca un mese per compiere diciannove anni ed il “Barone” lo schiera nella gara interna contro il Torino, seconda giornata del girone di ritorno, è il 10 febbraio 1974. Molti sono gli assenti nella Roma e tra i titolari che scendono in campo c’è chi è obbligato a stringere i denti per via di acciacchi fastidiosi.
Liedholm attinge dalla Primavera alcuni dei suoi campioncini; oltre a Bruno Conti vengono arruolati il portiere Francesco Quintini e Francesco Rocca. La formazione: Quintini, Bertini, Peccenini, Rocca, Negrisolo, Batistoni, Orazi, Domenghini, Prati, Spadoni, Conti. Di fronte il Torino di Gustavo Giagnoni: Castellini, Lombardo, Fossati, Zecchini, Cereser, Agroppi, Salvadori, Mascetti, Graziani, Sala, Pulici.
L’occasione più ghiotta arriva dopo dieci minuti ed è propiziata da una punizione battuta dall’esordiente Bruno. Il suo spiovente dalla sinistra trova l’opposizione in area di Claudio Sala che colpisce platealmente con il braccio, l’arbitro Mascali indica il dischetto. Domenghini si incarica della trasformazione ma il suo tiro è debole e centrale, Castellini neutralizza facilmente.
La gara è molto combattuta, varie occasioni da ambo le parti ma si chiude a reti inviolate. Conti ha avuto così il suo battesimo in prima squadra, molta emozione e già traspare il suo talento. In seguito vive due stagioni in prestito al Genoa (1975 – ’76 e 1978 – ’79), per poi tornare definitivamente nella Capitale.
Arrivano i primi trofei: due Coppe Italia consecutive nel 1980 e nel 1981, entrambe battendo in finale ai rigori il Torino. Nel 1982 arriva la consacrazione a livello internazionale col mondiale spagnolo vinto dagli azzurri di Enzo Bearzot. Il suo gol contro il Perù inaugura le segnature italiane, uno stupendo tiro da fuori area, la partita termina in parità.
Nitide restano nella memoria degli sportivi, tra le tante giocate: la finta che mette in ginocchio il portiere Fillol, campione del mondo uscente, nell’azione del raddoppio contro l’Argentina, la lezione di calcio impartita dal campione di Nettuno ai maghi del pallone brasiliani in una sfida epica, l’assist perfetto per la testa di Paolo Rossi per il 2-0 alla Polonia in semifinale, una palla messa lì che chiedeva solo di essere spinta oltre la linea, la sua cavalcata vincente contro la Germania nell’ultima gara al Bernabeu, capitalizzata da Altobelli per il terzo gol: campioni del mondo! Dribbling, assist, velocità, precisione e giocate funamboliche, la competizione fa conoscere a tutti gli addetti ai lavori “Marazico” Conti.
Trascorre un anno ed arriva il successo tanto atteso dal popolo giallorosso: Roma campione d’Italia dopo 41 anni. Oltre ad una doppietta contro la Fiorentina in casa (3-1) a Bruno spetta l’onore di chiudere quell’annata indimenticabile; sua l’ultima rete della stagione, quella del 3-1, ironia della sorte ancora di fronte il Torino.
Dodici mesi dopo, la Roma sfiora il trionfo in Europa. Scorrendo la cronaca della finale di Coppa Campioni si legge che, per assegnare il titolo, ci si è dovuti affidare alla lotteria dei rigori. Tra i tentativi falliti, figura quello di Bruno. Un rigore, però, può sbagliarlo solo chi ha il coraggio di assumersi la responsabilità di calciare, presentandosi sul dischetto con davanti un pallone che, in quel momento, pesa una tonnellata.
Bruno ha dimostrato di avere quell’audacia, ed il suo pubblico gliene ha sempre riconosciuto il merito. Si aggiungono due coccarde tricolori conquistate e poi ecco il 1990 – ’91, con una Roma che approda in finale di Coppa UEFA e centra una nuova affermazione in Coppa Italia, quinta ed ultima dell’era Viola, settima in totale.
Bruno, però, dà l’addio alla carriera agonistica pochi giorni prima, il 23 maggio, in un Olimpico stracolmo di appassionati accorsi per salutare il loro campione. Lo attende un futuro nei quadri dirigenziali della Roma in cui metterà a disposizione la sua esperienza e tutto l’amore per quei colori che lo hanno contraddistinto e fatto tanto apprezzare dal mondo calcistico.