a cura di Massimiliano Spalluto
Un altro 30 maggio si aggiunge ed in questo giorno alla memoria dello sportivo si impone sempre un volto, quello di Agostino Di Bartolomei.
Chi era Agostino? Per chi ha superato i quarant’anni non c’è nessun bisogno di presentazioni, Agostino è sempre presente lì, in fondo al cuore del tifoso romanista. Alle giovani generazioni che amano cercare notizie ed immagini navigando con il cellulare, si potrebbe dire che è difficile poter spiegare le emozioni che suscita quel nome, associato alle gioie trasmesse da una squadra finalmente fortissima, quella guidata da [i]“Capitan Dibba”.[/i] Sì, Agostino era il Capitano della Roma del secondo scudetto, il punto di riferimento, il professionista serio ed umile che non parlava molto ma che in campo metteva sempre il cuore e tanta grinta.
Riavvolgendo il nastro della memoria sono tanti i momenti che vengono in mente; si parte dal 22 aprile 1973, quando un ragazzo che aveva festeggiato pochi giorni prima i 18 anni fa il suo debutto a San Siro, nella Roma di Antonio Trebiciani, allenatore subentrato al “mago” Helenio Herrera. La Roma naviga in cattive acque in classifica ma riesce a strappare un importantissimo pareggio all’Inter. Si salverà dalla retrocessione grazie alla differenza reti. Inizia il nuovo torneo e alla prima giornata ospite è il Bologna del mister Bruno Pesaola, tecnico con un passato da calciatore giallorosso. La Roma, sotto di una rete, pareggia con Prati ad inizio ripresa. Mancano meno di venti minuti alla fine quando Domenghini rimette una palla a centro area, Agostino anticipa tutti e con un tocco al volo di destro mette dentro il punto della vittoria. Giornata indimenticabile per lui, ha segnato il primo gol con la sua Roma, la squadra che ha sempre amato. Alla fine della partita chiede ed ottiene di poter portare a casa il pallone con cui si è giocato; lo vuole regalare al padre, suo primo tifoso.
Dopo un anno a Vicenza, “per maturare”, Agostino torna a Roma; si avvicina l’epopea del presidente Dino Viola e del ritorno di Nils Liedholm. I gradi di Capitano spettano a lui. Due Coppe Italia vinte e poi ecco il primo maggio 1983. Si è al terzultimo turno di un torneo dominato dagli uomini di Liedholm; di fronte, allo stadio Olimpico, c’è l’Avellino. Ago appone la sua firma, è suo il gol che mette al sicuro il risultato, quello del 2-0. Tiro potentissimo e rasoterra, Tacconi, prossimo portiere della juve, non ci prova neanche a fermarlo, sarebbe un’impresa vana. Pochi secondi, tanto dura la corsa di Agostino impazzito dalla felicità, e poi l’immagine che resterà immortalata tra i più cari ricordi del tifoso romanista ormai attempato: Capitan Dibba in ginocchio, con le braccia al cielo. Un’icona di quell’annata indimenticabile e ormai consegnata alla storia. Si pensa ai festeggiamenti anticipati ma un risultato cambia ed è tutto rinviato. La Juve pareggia 3-3 in rimonta la gara interna con l’Inter, sfida che poi i bianconeri perderanno comunque “a tavolino”. Si va a Genova per chiudere ogni discorso. Si incassa quel fatidico punto, quanto basta: la Roma è campione d’Italia dopo 41 anni dal primo tricolore.
L’anno dopo arriva il 30 maggio, giorno maledetto. L’impresa europea sfuma per pochi centimetri; il Capitano alzerà un’altra coppa, quasi un mese dopo, il 26 giugno. È la quinta coppa Italia, la Roma finalmente è una squadra di rango, che sa rialzarsi subito dopo una sconfitta. È la svolta storica, cambia la mentalità; merito anche suo, del Capitano. In quel giro di campo festoso con la coppa in mano una vena di malinconia, Di Bartolomei saluta per l’ultima volta con la maglia della Roma il suo pubblico; accompagnerà mister Liedholm nell’avventura al Milan. In seguito verrà il Cesena, la Salernitana ed il ritiro nel 1990. Infine l’altro 30 maggio, terribile, nel 1994, che concluse la sua vicenda umana, facendo piombare nello sconforto i tifosi che gli hanno voluto bene e tutti coloro che di lui hanno ammirato l’uomo ed il campione.
Gli anni si susseguono ma l’immagine non sbiadisce mai: quella del Capitano in ginocchio, con le braccia al cielo, in quel primo maggio. Si chiudono gli occhi e la mente ripropone quei campionati indimenticabili, quelle domeniche pomeriggio attaccati alla radiolina o trascorse allo stadio per ammirare quella Roma… Ed ecco rivivere Agostino. Una palla ferma a terra davanti a lui, una barriera di uomini e quell’emozione unica che il tifoso provava quando a calciare era Ago. Il suo sguardo, un’occhiata veloce alla porta e poi gli occhi di nuovo sul pallone. La traiettoria è ormai decisa… Il ricordo si blocca lì, come il tempo che si vorrebbe fermare per sempre.
Ciao Ago, indimenticabile Capitano della mia infanzia.